D’estate, in campagna soprattutto, ma anche in città, potrebbe capitare d’incontrare un animale selvatico ferito o  apparentemente in difficoltà e la domanda nasce spontanea:  adesso che si fa? Il primo istinto è quello di intervenire come crocerossini della natura, ma non sempre questo comportamento è il più corretto, infatti bisogna valutare attentamente la situazione e contattare un Centro di recupero di animali selvatici i cui esperti sapranno dirci se e come operare. Non sempre trovare un cucciolo di mammifero o un uccellino incapace di volare implica che stia male o che sia stato abbandonato dai genitori, questa visione è dettata dalla nostra tendenza ad umanizzare tutti gli esseri viventi, ma bisogna tenere sempre presente che meno si interviene in natura meglio è e che gli animali seguono istinti diversi dai nostri, che possono apparire anche violenti, ma dietro c’è una serie di leggi naturali per mantenere gli equilibri all’interno degli ecosistemi che, sembra brutto a dirlo, serve a preservare la specie… e spesso l’individuo soccombe!

Ammetto d’aver seguito per prima l’istinto animalista ad intervenire a tutti i costi, ma poi le conseguenze mi hanno fatto riflettere e, dunque, ho cominciato ad adottare un nuovo comportamento. Vorrei sottolineare che stiamo parlando di animali selvatici e non dei domestici, evolutisi parallelamente all’uomo e ormai strettamente dipendenti l’uno dall’altro.

In molti casi gli animali rinvenuti non sono stati affatto abbandonati dai genitori che, invece, si aggirano nei dintorni e, proprio la nostra presenza, ne impedisce il riavvicinamento. Una volta certi che gli animali non siano feriti, bisogna allontanarsi e osservare ad una certa distanza l’evolversi della situazione che, generalmente, si conclude con il ricongiungimento familiare.

Se i piccoli, invece, presentano ferite o sintomi di malessere, ovvero faticano a muoversi, dimostrano apparente sonnolenza, occhi appiccicosi, ecc allora il nostro intervento deve essere tempestivo. Anche un animale adulto, che non fugge vedendoci sopraggiungere, fornisce la prova di un’evidente difficoltà.

Il primo intervento prevede la sistemazione adeguata dell’animale evitando che possa essere predato o di incappare in altre situazioni di pericolo. Se le ferite sono di lieve entità possiamo limitarci a rifocillarlo, pulire e disinfettare le escoriazioni e tenerlo in un ambiente tranquillo per pochi giorni, consentendogli di tornare subito alla sua vita selvatica, sempre dopo aver consultato un veterinario o un Centro di recupero di fauna selvatica.

 

Vediamo qualche caso specifico:

  • Cuccioli di lepre: apparentemente soli e abbandonati, spesso i leprotti si trovano solitari nei prati, nella zona dove sono stati partoriti; le lepri, infatti, non costruiscono tane, ma allevano i piccoli in superficie, allattano soprattutto di notte ed è facile che le madri tornino al calar del sole. Per sicurezza torniamo sul posto il giorno seguente e raccogliamo il piccolo solo se appare denutrito ed in evidente difficoltà. A questo punto non bisogna assolutamente svezzarlo a mano e tenerlo a lungo in ambiente domestico perché, così facendo, si inibisce nel leprotto l’istintivo senso del pericolo per cui, una volta liberati, rischierebbero di non sopravvivere a lungo. Nell’attesa di consegnarli in mani esperte, dovendo alimentarli per un periodo brevissimo, bisogna usare una siringa sterile, privata dell’ago, o un biberon per neonati, riempiti con latte vaccino o di capra o di pecora, tiepido e diluito con dell’acqua.
  • Piccoli di riccio: molto facili da trovare sono i giovani non ancora svezzati, riconoscibili dagli aculei morbidi, poiché i ricci frequentano spesso orti e giardini, dove imparano a non temere (ahimè!) l’uomo e l’adulto può allontanarsi in cerca di cibo, lasciando momentaneamente i piccoli in rifugi non troppo nascosti. Anche in questo caso osserviamo per diverse ore i dintorni per intercettare l’eventuale presenza del genitore e, solo  quando vi è la certezza che non siano nei paraggi, possiamo prestare il primo soccorso ai giovani ricci. Se i piccoli sono addirittura neonati, allora vanno sistemati in una scatola, con una borsa d’acqua calda tiepida, avvolta con carta da cucina. I piccoli sono molto delicati ed è difficile svezzarli per cui è sempre meglio affidarli a persone competenti.  Se, anche su suggerimento degli esperti, si rende necessario nutrirli, ricordate che non bisogna somministrare latte vaccino poiché non sono in grado di digerirlo. Con una siringa senza ago o un biberon cercate di nutrirli con latte di capra in una quantità pari ad un quarto del loro peso corporeo, distribuito in 6-8 pasti nell’arco delle 24 ore. Dopo la poppata, come per i piccoli di cane e gatto, bisogna massaggiare il ventre e i genitali del neonato con un batuffolo di ovatta bagnato in acqua tiepida, per favorire la digestione e i bisognini, come farebbe la mamma in natura, leccandoli insistentemente.
  • Pipistrelli: spesso vengono risvegliati traumaticamente dal letargo dai nostri amici gatti… cosa fare? Non abbiate paura di maneggiarli, usate semmai un paio di  guanti, anche se i pipistrelli italiani non trasmettono malattie con il morso; non temete per le vostre parrucche, i pipistrelli sembrano poco pelosi, ma non per questo invidiano la vostra capigliatura al punto tale da non volerla mollare più, ma poneteli prima di tutto al riparo e a riposo in una scatola di scarpe con qualche straccio, dopo aver praticato dei fori per l’aria. Nel caso in cui l’animale sia debilitato ha bisogno di essere alimentato prima della liberazione, come? Qui viene il bello perché bisogna sacrificare tarme della farina o camole del miele e qui potremmo stare a parlare a lungo sull’etica o sul valore di una vita rispetto ad un’altra… personalmente ho accudito un pipistrello, anzi era una lei, per alcuni giorni, ho provato con un pappa a base di uovo e banana suggeritami dagli esperti, ma non ne voleva sapere di aprire la bocca… poi è intervenuto qualcuno al mio posto, che le ha somministrato le povere camole (e vi risparmio come andrebbe fatto) e, mi verrebbe da dire la furbastra, ha cominciato a mangiare di gusto… anche in questo caso, credo sia preferibile lasciare agli esperti l’intervento, piuttosto faticoso moralmente se si pensa alla camola, parola di animalista!

Se il pipistrello ha la membrana alare bucata non facciamoci prendere dal panico perché è un male curabile. Consegnatelo al Centro di recupero più vicino. Nel caso di piccoli non ancora svezzati e solo nel caso in cui vadano urgentemente nutriti, si può farlo con una siringa senz’ago riempita con qualche goccia di latte di capra (no latte vaccino) o con latte in polvere per cuccioli di cane.

  • Uccelli: quando ne troviamo qualcuno ferito solo un veterinario, dopo visita accurata e una radiografia, potrà stabilire la gravità e l’eventuale cura da seguire. È importante cederlo a mani esperte perché un’errata manipolazione potrebbe peggiorare la situazione. Il riparo più consono all’eventuale trasporto resta sempre una scatola chiusa, poco più grande dell’animale stesso, con i fori per l’aria e della carta da cucina che rivesta l’interno. Se notiamo dei nidiacei a terra, constatato che i genitori non siano a sorvegliarli dall’alto, si interviene soprattutto per sottrarli ai predatori (anche se la selezione naturale funziona così) e per nutrirli. Se il nidiaceo ha un discreto piumaggio ed è piuttosto vivace allora non è abbandonato, ma i genitori lo svezzano a terra, come nel caso dei merli, diversamente, se si tratta di un rondone  o di una rondine che, caduti dal nido, non vengono soccorsi dai genitori. Nel primo caso, dunque, basta spostarli in un riparo più sicuro non troppo lontano, altrimenti verranno persi di vista dagli adulti.  Accudire un nidiaceo è impegnativo; gli implumi con gli occhietti ancora chiusi, vanno sfamati ogni mezz’ora, con un pastone facilmente reperibile nei negozi di animali, diluito con acqua alla temperatura di 35-38 °C e somministrato con una siringa senza ago, inserendo la punta, delicatamente ed in profondità, nel becco del piccolo, premendo lo stantuffo fino a riempire il gozzo dell’uccellino. Con il pastone imbevuto di acqua non è necessario dare da bere ulteriormente al piccolo, il pastone va inoltre preparato di volta in volta, poiché gli avanzi inumiditi, fermentando, potrebbero causare problemi intestinali agli uccellini. Man mano che il piccolo cresce si allungano i tempi di alimentazione fino a due o tre ore di intervallo tra i pasti.

Per approfondire ulteriormente il discorso e trovare soprattutto i numeri utili dei Centri di Recupero della fauna selvatica potete sbirciare qui:

http://www.lipu.it/oasi/animaliferiti.htm

http://www.recuperoselvatici.it/primosoccorso.htm

“Vita in campagna”  n° 6/2011, supplemento a cura di M. Bonora, da cui ho tratto molte informazioni

…ma il mio consiglio spassionato, dettato dalla mia modesta esperienza, è imparare ad intervenire direttamente, prestando la vostra opera di volontariato negli stessi centri di recupero e godere in prima persona nel vedere piccoli spalancare il becco e sbattere le ali quando l’imboccate o accarezzare un giovane riccio o ancora conoscere da vicino nuovi animali… dopo, ovviamente, la gavetta di pulitori di gabbie di piccioni!

 Ippolita Sanso

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