Noi persone emancipate spesso pensiamo di dover spiegare più volte e per bene le cose ai bambini, altrimenti non le capirebbero. Beh, indovinate un po’? Secondo il protagonista di questa meravigliosa storia è esattamente il contrario… quando si suol dire “Due facce della stessa medaglia”…
Lo stretto rapporto adulto-bambino ricorre spesso in quest’opera di Antoine de Saint-Euxepéry, ma lo vediamo capovolto, come fossimo a testa in giù. Per dirne una, il punto di vista del narratore è molto interessante perché, sebbene racconti la sua storia quand’è già nell’età adulta, il suo modo di descrivere ciò che succede intorno a lui ricorda davvero molto quello di un bimbo. Come se fingesse di essere diventato un uomo solamente per potersi uniformare agli altri – che non riescono a comprendere la semplice complessità della vita – ma, in fondo in fondo, fosse consapevole di non essere uguale a loro, perché capace di una cognizione talmente ampia da risultare impossibile alle menti ormai impostate di chi ha raggiunto la maturità.
Ed è proprio questo che aiuta il lettore a riflettere: perché, dal punto di vista del narratore bambino, “adulto” è sinonimo di chiusura, mentre “bambino” indica apertura?
Egli racconta la sua storia, premettendo che solo chi sa veramente comprendere la vita, crederà a quello che sta per leggere, e con ciò esclude nella quasi totalità la categoria di noi persone cresciute, diciamo così. E come dargli torto… quanti di noi crederebbero alla storia di un bambino alieno giunto sulla terra dopo aver viaggiato a lungo per gli innumerevoli pianeti sparsi nell’universo? Perché questo è quello che succede nel racconto.
Scoraggiato ad intraprendere la professione del pittore dagli adulti che lo circondavano, all’età di soli sei anni, il narratore decide di diventare un pilota di aeroplani. Un giorno sfortunato – o fortunato, dipende dai punti di vista – precipita con il suo aereo nel deserto e, mentre cerca disperatamente di aggiustare il guasto al motore, conosce un piccolo principe che viene da un altro pianeta. Questo dapprima lo tartassa con domande assurde, o meglio, assurde per qualsiasi persona di mentalità ristretta, del tipo di disegnargli una pecora da portare a casa sua, ecc., e poi gli racconta la sua fantastica avventura in giro per i tanti piccoli pianeti dell’universo. Così scopriamo i numerosi personaggi che incontra sul suo cammino, prima di conoscere il nostro narratore e ritornare sul suo pianeta: il re solitario, il vanitoso, l’ubriacone, l’uomo d’affari che possedeva le stelle, il lampionaio, il geografo, il serpente, il fiore, le rose, la volpe, il controllore e il mercante.
Ad ognuno di questi personaggi viene dedicato un capitolo, ed ogni capitolo ci insegna una lezione diversa, legata a sentimenti quali orgoglio, vanità, solitudine, malinconia, affetto, ecc.
Seppure scritta ben settant’anni fa, quest’opera è tuttora di una grandissima attualità; anzi, forse anche più di quanto non fosse all’epoca. Il linguaggio, onestamente, non è proprio di facile comprensione, ed è sì adatto ai bambini, perché la storia è originale, coinvolgente e narrata con una sottilissima ironia, nella sua visione fanciullesca della vita; ma solo raggiunta una certa maturità si può riuscire a comprendere a pieno i tanti significati nascosti dietro le metafore che incontriamo in ogni capitolo.
Per esempio i concetti di soggettività e apparenza, nonché l’influenza che ha sui bambini il mondo che li circonda (disegno boa che mangia l’elefante); oppure la potenza dell’immaginazione: ogni cosa può essere come la vogliamo, basta osservarla nel modo giusto (pecora nella scatola); o ancora la superficialità della società di oggi, in cui viene data un’eccessiva importanza alla quantità piuttosto che alla qualità delle cose (adulti e la loro passione per i numeri); saper riconoscere la differenza tra bene e male (baobab); non è mai troppo tardi per mettersi in gioco, perché con la tenacia, la pazienza e la giusta applicazione si può ottenere tutto, ed i risultati migliori si ottengono proprio quando ci si impegna al massimo (narratore riprende a disegnare da adulto); lo spinoso dualismo fallimento-buona riuscita di chi esercita l’autorità: spesso se non si riesce nel proprio intento può essere dipeso da un errato ragionamento o dall’erroneità della proposizione stessa (re); la comprensione che gli sforzi e la fatica che facciamo per conquistare qualcosa che vogliamo rendono quel qualcosa ancora più prezioso, e riusciamo ad apprezzarlo a pieno solo quando lo sentiamo davvero nostro, quando vi siamo legati con affetto: l’essenziale è invisibile agli occhi, ma solo al cuore (volpe – rosa).
Ma questi sono solamente alcuni dei concetti espressi nel racconto, a cui varrebbe la pena di prestare attenzione… per elencarli tutti occorrerebbe scrivere un altro piccolo principe!
E già solo per questo è un libro che vale veramente la pena di leggere, almeno una volta nella vita. Che siate bambini… o un po’ meno bambini.
Silvia Sacchetti
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